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Il Pagliaccio si mette a nudo
di Laura Mantovano
3 maggio 2025
Festeggia quarant’anni di carriera e, in un certo senso, getta la maschera, Anthony Genovese. Mette sul piatto un menu che è una porta spalancata sul mondo, confessa qualche errore del passato e rivela il suo sogno: la speranza che i giovani abbiano più pazienza e capiscano che quello del cuoco è il mestiere più bello del mondo

Per i quarant’anni di carriera ha messo in scena un menu completamente inedito Mode XL, e con un gesto simbolico, l’indice davanti alla bocca, ha invitato il pubblico al silenzio. Come a dire: non servono parole, parla la cucina
Quarant’anni sono tantissimi, una vita, zitto parlo io, sono quello che sono senza tabù, senza paure, porto sul piatto le mie perplessità, in questo menu si ritrovano tutti i miei passaggi, poca Francia, perché è stata una grandissima scuola, ma non è la mia cucina; poi c’è l’Italia, i viaggi… questo menu è una porta spalancata sul mondo
Ad Excellence abbiamo deciso di smarcarci dall’annoso dibattito sulla morte del fine dining e parlare di true dining, credendo che il dibattito sia fra cucina vera, “identitaria” e cucina chiusa in sterili tecnicismi. Cosa ne pensa?
Sono pienamente d’accordo. Abbiamo passato il periodo in cui il cliente si chiedeva “cosa sto mangiando?”, io in primis ho esagerato con le provocazioni per colpire spesso la stampa e dimenticando il cliente; oggi sono convinto della necessità di proporre una cucina “pulita”, lineare, con grande tecnica sicuramente, ma nella quale deve prevalere il gusto, l’ingrediente. L’importante è accontentare di più il cliente che si deve sentire accolto come a casa di amici
Cosa è per lei oggi l’alta cucina?
La cucina deve essere bella e buona, sono stanco di sentire “ho mangiato lì a 20 euro”, voglio sentire dire “ho mangiato una fantastica frittura”. La cucina buona è quella che mi dà un’emozione, che può essere un piatto d’autore, una pizza o un panino

E a Roma come si mangia?
Roma oggi ha un potenziale pazzesco non solo come ristoranti, dalla carbonara al tofu, ma anche come mixology, un potenziale mai visto che non viene considerato abbastanza anche dagli stessi romani che dovrebbero essere più curiosi; la ristorazione capitolina sta diventando meno pigra, grazie alla nuova generazione e a grandissime trattorie che hanno cura di far bene il loro lavoro a livello di vino e di servizio, e sono posti “veri”
A proposito di servizio, parliamo di sala
La sala è fondamentale. Cucina e sala debbono procedere all’unisono, per far stare bene il cliente ma per stare bene anche noi, per trovare il modo di lavorare nella maniera più giusta
Anche voi avete il problema del personale?
Ni, perché i miei ragazzi non se ne vanno, Matteo, il restaurant manager, è con me da 16 anni, Luca il sommelier da 8, l’assistente manager Veronica da 6, il mio sous chef, oramai chef, Francesco addirittura da 18. Abbiamo dei pilastri

I giovani si innamorano ancora di questo mestiere?
Vorrei che lo facessero di più, vorrei che amassero questo lavoro senza troppi “se e ma, io… io… io”, ci sono delle tappe degli step, servono umiltà e curiosità, debbono capire che è un lavoro diverso dagli altri. Dopo quarant’anni io amo il mio lavoro, non amo il contorno, sempre più difficile, la burocrazia, i problemi tecnici. Anche la clientela a volte non è facile, i giovani debbono capire che il percorso è lungo, non basta una foto su una rivista… chiedo ai ragazzi di essere più flessibili, debbono capire che quando possiamo dobbiamo accontentare il cliente; gli orari sono questi, dobbiamo trovare il modo migliore per stare più sereni perché il nostro lavoro è dare, dare, dare …
Cosa direbbe a un giovane per convincerlo a lavorare nella ristorazione?
A un cuoco direi: prendi un prodotto grezzo e fallo diventare un grandissimo piatto, è una magia bellissima, prendi un pomodoro e trasformalo… quello del sommelier è un mondo infinito di studio, io ho la fortuna di avere Matteo e Luca che continuano a girare… ma anche il servizio trovo che sia un lavoro molto affascinante…
E poi la ristorazione è un lavoro che non è mai uguale, ogni sera cambiano gli ospiti ed è tutto nuovo
Proprio così. Per questo si chiama il Pagliaccio, il Pagliaccio recita, una o due volte al giorno, con il suo grandissimo carrozzone, un circo che si è spostato in Asia, nel sud Italia, in Inghilterra… davanti al cliente deve sorridere. Il Pagliaccio è molto profondo nei suoi sentimenti, non è solo uno che fa ridere, ha una filosofia potente che ti vuole trasmettere, ti vuole far sentire bene… magari in cucina ha i suoi momenti di malinconia, ma il cliente non se ne deve accorgere.
Il cliente deve solo affidarsi all’intelligenza e alla sensibilità del Pagliaccio e farsi catturare dalla magia della rappresentazione. Sipario… Qui sotto un piccolo trailer dello spettacolo…


